Viaggiare ai tempi dei kamikaze

Strano tempo, questo.

Dove quella che sembrava una banale libertà di andarsene in giro per il pianeta, ognuno con un motivo proprio, si trasforma in un dubbio: tornerò a casa vivo? La paura dice: ‘forse’. Le statistiche, per fortuna, ci assicurano di si.

Se l’intento primario di ogni atto terroristico sta nel cambiare le nostre abitudini, mettere caos dove prima c’era ordine, renderci deboli dove prima ci sentivamo forti, dare spazio ai numeri è già un ‘mettersi in salvo’.

viaggiare ai tempi dei kamikaze

Che gli incidenti stradali facciano più morti in un anno di tutti i kamikaze dell’ultimo decennio è ormai cosa nota. Le strade del mondo mietono un numero di vittime a 6 zeri, pari a 1,2 milioni. Ogni anno.
Dal 2001 ad oggi sono 45 gli italiani che hanno perso la vita per mano di terroristi islamici. Sale a 33.000 circa il numero globale nell’anno 2014. Molti, ma ancora nulla, se paragonati alle vittime da asfalto. Eppure questo dato non ci inquieta. Nessuno teme per la propria vita salendo su un’ auto per tornare a casa dopo una giornata di lavoro.

Perché i dati sugli incidenti stradali non ci fanno quasi più effetto, pur essendo di 1 milione di volte numericamente superiori a quelli sul terrorismo?
Che uso facciamo delle informazioni che ci arrivano?

Lo psicologo Daniel Kahneman, premio nobel per l’economia nel 2002, esperto in materia di giudizio umano e decisioni in condizioni di incertezza, sostiene che siamo suggestionati dalla facilità con cui ci vengono in mente gli esempi.
Se l’incidente stradale non fa quasi più notizia e non appare su giornali e tv, l’attacco terroristico invade invece la scena, e la nostra memoria, per un periodo di tempo variabile.
E se, in quel lasso di tempo, ci immaginiamo alle prese con aeroporti, ristoranti, metropolitane e locali serali nell’atto di viaggiare lo facciamo sulla base delle emozioni che i fatti riportati dai media, in dose massiccia, ci hanno provocato.

Sennò non si spiegherebbe perché abbiamo imparato a convivere con rischi diventati ormai famigliari come il fumo, l’inquinamento, l’uso di pesticidi, gli organismi geneticamente modificati che, ogni giorno, sono sulla nostra tavola e che, secondo statistiche Oms, sono causa di milioni di morti nel mondo. Ogni anno.

Il terrorismo ci spaventa dunque in quanto vera minaccia alle nostre esistenze di cittadini e viaggiatori oppure è un fenomeno che non ci risulta abbastanza familiare per poterci convivere senza lasciarsi pietrificare dalla paura?

viaggiare ai tempi dei kamikaze

Un ultimo dato: ogni anno sono circa 41 mila gli americani che muoiono per eccessivo consumo di medicinali, surclassando, in questo modo, gli incidenti stradali e diventando prima causa di morte negli States. I media non ne fanno un caso, nessun allarmismo ma, ogni mese, si raggiunge e si supera il numero di vittime dell’attentato alle Torri Gemelle.

Di quali, di queste cose, bisogna quindi avere paura?

Delle pastiglie per il mal di testa, di respirare polveri sottili, del cibo chimico e industriale o di qualche sparuto kamikaze?

Per onestà mentale: di tutte o di nessuna.

A volte basterebbe spegnere tutto: televisione, web, radio, racconti altrui. Chiudere i giornali e continuare a fare quello che si è sempre fatto: viaggiare.
Fonti: Pensieri lenti e veloci – D. Kahneman / ed.Mondadori
Dati statistici : Global terrorism database, Università del Maryland
CDC – Center of Desease Control and Prevention

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