Gli Italiani viaggiano male?

 

Foto Yamilé Barcelo Hondares

Foto Yamilé Barcelo Hondares

Secondo voi perché gli Italiani non sono grandi viaggiatori? A differenza di altri popoli abbiamo la tendenza a cercare una vacanza più che un viaggio, una villeggiatura più che un’esplorazione, un intermediario più che il nostro spirito indipendente. Nonostante i tempi stiano lentamente cambiando, abbiamo ancora l’aria di chi, in giro per il mondo, non si è messo mai. Viaggi brevi, poco investimento nel trovare mete alternative a quelle proposte dal turismo di massa e, fondamentalmente, una mentalità turistica incline a dire “van tutti lì, ci vado anch’io: che male c’è?”. 15 giorni d’estate, qualche weekend e poco più. Colpa della crisi? No, non credo. Anche in tempi non sospetti sono rare le occasioni in cui ci siamo distinti per il nostro viaggiare, come invece è successo e succede tuttora in altri settori.

Viviamo in uno dei Paesi più belli del mondo e in quanto tale, siamo da sempre più abituati ad essere visitati che non a essere visitatori noi stessi. Questa può essere una delle cause del nostro “non-andare” ma non una giustificazione, la curiosità di vedere cosa c’è oltre il muro di casa fa parte dell’essere umano, da sempre. Il modo di viaggiare “all’italiana maniera” ci vede provenire da decenni di turismo organizzato. Ve li ricordate i villaggi vacanza all-inclusive? L’antitesi del viaggio per eccellenza. Ti sposti nel mondo pur restando a casa tua. Mi sono sempre chiesta da dove provenisse quel successo, come potesse essere tanto attraente trascorrere il tempo in “luoghi-non- luoghi” all’insegna del divertimento organizzato con l’intero pianeta terra che rimane a portata di mano eppure inaccessibile. E qui si tocca un tema delicato, l’attaccamento alla famiglia d’origine, alle abitudini di casa che, in Italia, vogliono sempre dire “mamma”. No, se vuoi viaggiare devi lasciarla a casa, così come devi abbandonare alle tue spalle il cibo, le comodità, quell’istinto “al gruppo” tanto cari al turista italiano che, insieme a pochi altri, lo contraddistinguono nel mondo.

Ricordo i primi viaggi in Asia, lo stupore era su molti fronti: c’erano la bellezza e la diversità, c’era il fuori dall’ordinario, si, ma c’erano anche i viaggiatori, c’erano quelli con lo zaino ed un unico paio di scarpe, quelli degli ostelli a tutte le età e lo sguardo affamato di chi ha capito quanto vale un viaggio vero nella geografia della propria esistenza. E c’era il ricordo di amici e conoscenti che tornavano dalle vacanze con intere gallerie fotografiche delle camere d’albergo dove avevano alloggiato. Il “gap” qualitativo era troppo evidente, nella comparazione, per non decidere immediatamente da che parte stare.

“Sono i viaggi che fanno i viaggiatori e non viceversa” non ricordo chi ha detto questa frase ma resta un punto essenziale, l’ennesimo da cui partire e lasciarsi ispirare. Resta poi lo scoglio della lingua: a noi italiani piace parlare la nostra. E basta. Tanto che quando un italiano, all’estero, si esprime in inglese o altra lingua straniera correttamente, viene considerato “un italiano anomalo”. Perchè poi, volendo vederci con gli occhi altrui, sarà anche difficile uscire dall’idea e dalla rappresentazione che gli stranieri si sono fatti di noi. Quanto tempo ci vorrà prima che si possa bonificare l’immagine di noi come turisti o viaggiatori della domenica? Dunque, vagate. Mettetevi in cammino con bagaglio e mente leggera e il mondo farà il resto.

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