A chi mi chiede quale sarà il mio prossimo viaggio rispondo che il mio prossimo viaggio sarà sotto casa.
Voglio esplorare i sentieri dell’ovvio, del banale, del familiare. Attraversare la strada dove abito come fosse un urbano Mekong. Con lo stesso stupore, la stessa meraviglia, il senso dell’immensità.
Scoprire la velocità e la lentezza. La prudenza e l’inosservanza delle regole di chi si muove in auto, di chi cammina, di chi percorre una strada senza forse più vederla. L’ambivalenza che è in ognuno, a seconda dell’umore, del tempo a disposizione, della felicità che ci si è concessi.
E oltre l’asfalto, i marciapiedi e le case. Le finestre da cui si possono immaginare infinite vite. Infinite storie. Viaggio romantico e immaginario nei paesaggi periferici. In un altrove che non è più capace di stupire perché troppo vicino, macchiato di quotidianità.
Un viaggio è esperienza di sensi.
Forse non ho mai toccato l’albero del mio giardino con la stessa venerazione con cui mi sono avvicinata agli alberi d’Africa. Non ho mai parlato a quell’anziana signora che ogni giorno incontro all’incrocio pedonale. Non le ho mai chiesto il permesso di scattarle una fotografia, come avrei fatto altrove. Non è abbastanza esotica pur provenendo dall’inizio del secolo scorso.
E se chiudendo gli occhi mi concentro sui suoni della via? Che cosa isolo? Cosa sento?
Quali sono i rumori che mi sono familiari e quali, invece, quelli a cui il mio udito non riconduce nessuna sensazione e che ora invece percepisce in quanto sostituto della vista? Si può imparare a guardare anche con le mani e con i sensi meno usati. La quotidianità è palestra e palcoscenico; possibilità e spettacolo.
Si. A chi mi chiede quale sarà il mio prossimo viaggio rispondo che il mio prossimo viaggio sarà sotto casa. Sotto casa. Dove il viaggio ha inizio.
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